lunedì 29 marzo 2010

IL PRIMO RESPIRO



Tre anni tra preproduzione, riprese (15 mesi) e post produzione. Dieci nascite seguite in Francia, Vietnam, Stati Uniti, Brasile, India, Tanzania, Giappone, Niger, Siberia, Messico. Un'attrezzatura spesso molto light per le riprese (a volte solo con l'ingegnere del suono e la giornalista che sul film ha pubblicato due libri) e la voglia di mostrare dei modi di nascere diversi rispetto a quelli seguiti per una serie di documentari per la tv nel superattrezzato ospedale pediatrico parigino Robert Debré.
Quanto tempo è passato da quando Helga con il primo parto mostrato al cinema sconvolgeva gli spettatori! Gilles De Maistre ha indubbiamente il dono di saper offrire alle partorienti la sicurezza di una presenza non invasiva. Nulla dà la sensazione della messa in scena, tutto è naturale e tutto è al contempo uguale e diverso. Semmai è la fotografia che appare troppo ricercata e, qualche volta, quasi leziosa. Per il resto ha il pregio di 'mostrare' senza abbracciare nessuna teoria.
Assistiamo così a un parto in piscina con tanto di delfini pronti a omaggiare il nascituro ma anche a doglie anticipate che impediscono la ritualità new age. Veniamo messi di fronte all'efficienza di un ospedale vietnamita cosi come a una nascita notturna in una tribù amazzonica. De Maistre non vuole proporre inni retorici alla vita ma, più semplicemente, mostrare come il nascere non sia solo un fatto naturale e come la cultura influenzi profondamente il venire alla luce.
Non c'è nulla in comune tra la coppia del Maine che vive in una sorta di comune in cui si attende il parto suonando la chitarra con la puerpera adagiata in una piscinetta di plastica e la donna Masai che vive le stesse sensazioni di gioia e di sofferenza a tutt'altra latitudine. O forse invece sì ed è proprio questo che diviene l'elemento di attrazione di questo documentario: il mistero del nascere. Apparentemente uguale eppure così profondamente diverso.

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